La voluttà, naturale nei paesi meridionali, aveva regnato un tempo nella corte dei Visconti e degli Sforza. Ma dal 1624, da quando, cioè, gli Spagnuoli s'erano impadroniti di Milano, e impadroniti da padroni taciturni, sospettosi, superbiosi, sempre paurosi di rivolte, la gaiezza disparve. E i popoli, assuefacendosi ai costumi de' loro padroni, pensaron piú a vendicar con una pugnalata il menomo oltraggio che a goder dell'ora fuggente.
La pazza gioia, l'allegria, la voluttà, l'oblio di tutti i sentimenti tristi o appena ragionevoli giunsero a tale — dal 15 maggio 1796 che i Francesi entrarono a Milano, all'aprile 1799 quando in conseguenza della battaglia di Cassano ne furon cacciati — che si ha memoria di vecchi mercanti milionarii, di vecchi strozzini, di vecchi notai, i quali durante questo periodo dimenticarono di seccare il prossimo e di guadagnar quattrini.
Come eccezioni si potrebbero, al piú, citare alcune famiglie dell'aristocrazia che si ritirarono nelle loro ville, come per tenere il broncio contro la generale allegria e l'aprirsi dei cuori. Vero è bensí che queste famiglie nobili e ricche erano state distinte increscevolmente nella ripartizione del contributo di guerra.
Il marchese Del Dongo, irritato da tutta quella gaiezza, era stato un dei primi a tornar nella sua magnifica villa di Grianta, di là da Como, dove le signore condussero il tenente Roberto. La villa, in una posizione forse unica al mondo, a cencinquanta piedi sopra quel lago meraviglioso, di cui dominava gran parte, fu un tempo fortezza: la famiglia Del Dongo la fece costruire nel quindicesimo secolo, come attestavan dappertutto stemmi marmorei, e vi si vedevano ancora ponti levatoi e fossati profondi, per vero dire senz'acqua. Con le sue mura alte ottanta piedi e larghe sei, il castello era sicuro da colpi di mano e perciò carissimo al sospettoso marchese. Fra venticinque o trenta domestici, ch'egli supponeva secondo ogni apparenza devoti, perché non rivolgeva loro mai la parola senza trattarli male, si sentiva meno che a Milano tormentato dall'apprensione.
La pazza gioia, l'allegria, la voluttà, l'oblio di tutti i sentimenti tristi o appena ragionevoli giunsero a tale — dal 15 maggio 1796 che i Francesi entrarono a Milano, all'aprile 1799 quando in conseguenza della battaglia di Cassano ne furon cacciati — che si ha memoria di vecchi mercanti milionarii, di vecchi strozzini, di vecchi notai, i quali durante questo periodo dimenticarono di seccare il prossimo e di guadagnar quattrini.
Come eccezioni si potrebbero, al piú, citare alcune famiglie dell'aristocrazia che si ritirarono nelle loro ville, come per tenere il broncio contro la generale allegria e l'aprirsi dei cuori. Vero è bensí che queste famiglie nobili e ricche erano state distinte increscevolmente nella ripartizione del contributo di guerra.
Il marchese Del Dongo, irritato da tutta quella gaiezza, era stato un dei primi a tornar nella sua magnifica villa di Grianta, di là da Como, dove le signore condussero il tenente Roberto. La villa, in una posizione forse unica al mondo, a cencinquanta piedi sopra quel lago meraviglioso, di cui dominava gran parte, fu un tempo fortezza: la famiglia Del Dongo la fece costruire nel quindicesimo secolo, come attestavan dappertutto stemmi marmorei, e vi si vedevano ancora ponti levatoi e fossati profondi, per vero dire senz'acqua. Con le sue mura alte ottanta piedi e larghe sei, il castello era sicuro da colpi di mano e perciò carissimo al sospettoso marchese. Fra venticinque o trenta domestici, ch'egli supponeva secondo ogni apparenza devoti, perché non rivolgeva loro mai la parola senza trattarli male, si sentiva meno che a Milano tormentato dall'apprensione.