La speranza di un profondo rinnovamento dell'Università italiana è accompagnata dalla convinzione che questo non possa avvenire dall'interno, solo cambiando regole, concorsi e programmi, bensì soprattutto con una nuova osmosi tra l'interno e l'esterno, con un'uscita dell'Università da se stessa e nel medesimo tempo con la collaborazione di una moltitudine di ricercatori e organismi esterni con l'Università.
Questa sembra una strada particolarmente adatta a
un paese che ha un'irreversibile e storica vocazione culturale, e non
solo politica, nel senso deteriore, per la policentricità e per la
densità differenziata. Tale vocazione andrebbe fatta fruttare di là
dalle lagnanze di maniera su arretratezze e provincialismi, per
comprenderne e valorizzarne una buona volta la portata istituzionale.
Un fenomeno nuovo, a volte produttivo, a volte dispersivo, sembra
caratterizzare questi anni: la nascita di molte associazioni
culturali, fondazioni e centri di ricerca. Se ciò da un lato è
sintomo di disagio, di insoddisfazione per le istituzioni esistenti o
di impossibilità ad accedervi, dall'altro è segno di grande
vitalità culturale, di un desiderio costruttivo che andrebbe accolto
nelle sue istanze, come si è detto più volte, di legame con il
reale, ovvero, spesso, con il non visibile.
Forse
si dovrebbe cercare di cambiare da subito proprio la rete dei
comportamenti, degli stili della ricerca, rinunciando
all'atteggiamento di difesa (di principi, della «grande
letteratura», di qualcosa che, si dice, «si va perdendo») che
contraddistingue molti letterati, ritrovando il gusto e il coraggio
per una discussione pubblica, nell'accademia stessa più che sui
giornali, senza paura di mostrare le proprie reciproche
incomprensioni e le proprie differenze di prospettiva.
Diversamente
dai postumi, pur comprendendo in certa misura molte loro
ragioni, continuiamo a vedere uno spazio per la critica, per la
costruzione o il riconoscimento di distanza, per l'individuazione di
stili e di forme; anche se magari si tratta di stili in una
testualità che non è più soltanto bidimensionale. È presumibile
che le nuove tecnologie stiano cambiando ma soprattutto cambieranno,
con fresca inaspettatezza, non solo il modo stesso di pensare l'arte,
le opere, la scrittura, ma anche il modo di fare critica.
Ad esempio
il Novecento, con la sua densità e molteplicità, richiede strumenti
nuovi per una completa ricomprensione, nuove ipotesi architettoniche
sul tenere in conto e sullo scegliere.
La coscienza ipertestuale che
si va diffondendo, di là dai suoi aspetti venal-ornamentali, e dal
miscuglio di evanescenza, esaltazione e diffidenza che
l'accompagnano, fornirà sicuramente basi nuove per pensare i
fenomeni letterari, per via diretta o per contrasto. Non è tanto una
questione di catalogazioni sempre più esaurienti e di per sé
esplicative, illusione post-positivista dura a morire, ma di modo di
considerare i testi, di riconoscimento delle emergenze, di
cambiamento del concetto di valore.
Se
dietro le apparenti suggestioni della memoria totale e della
dopostoria si vanno preparando invece, probabilmente, silenziose e
colossali operazioni di amnesia collettiva, critica è anche cercare
di individuare le precise direzioni, per nulla indifferenziate o
generalizzate, in cui ciò sta avvenendo, e anche, forse, tenere
aperte delle strade, delle istanze di rammemorazione.
Il «reale»
non è certo una enorme banca dati, e nei prossimi anni si
giocheranno importanti questioni riguardanti non solo il modo di
ricordare, ma anche il che cosa ricordare. Nello stesso tempo
l'abitudine di questa seconda metà del secolo di individuare in ogni
bruscolo un «salto di paradigma» sembra quanto mai puerile. In
questo quadro le tradizioni, il loro uso e la loro trasformazione,
potrebbero anche complicarsi socialmente e geograficamente di là da
ogni paventata omologazione. Perciò riteniamo che si possa
ancora sperimentare, ricercare e contaminare senza rinunciare a un
grammo di saturnina critica della cultura, che il fare creativo possa
insegnare ancora, autonomamente e imprevedibilmente, scarti e
profondità. Se questo avverrà fuori dai canali dell'asfittico
«mercato editoriale», in una prospettiva di demercificazione
dell'autore e dei manufatti, o attraverso una profonda
ristrutturazione del mercato stesso, sarà tutto da vedere.
L'indifferenziato
è solo uno degli stili architettonici del pensiero
contemporaneo, a cui non è utile contrappore una (quanto mai dubbia)
purezza della letteratura. Allo stesso modo il patrimonio della
scrittura, secoli di pensiero gutenberghiano, sono un'acquisizione in
qualche modo irreversibile della modernità che produce particolari
forme di compresenza dei testi. Nel lavoro su queste compresenze,
nell'uso massiccio e nella messa alla prova del sapere tipografico
nelle nuove tecnologie, e nella costruzione, oggi più che mai, di
dis-corsi, si apre con tutta probabilità il terreno più vasto per
un esercizio della critica.
Le «grandi narrazioni» non si estinguono affatto: l'Occidente non fa che autonarrarsi di continuo, sia che opti per un genere apocalittico, apologetico, penitenziale o mistico-sospensivo. Ma dove forse la permanenza delle narrazioni mantiene un interesse critico è a un livello diverso, dove esse assumono un carattere in un certo senso eventuale, operativo, e cioè, tanto per tornare al discorso precedente, istituzionale: la loro metadiscorsività scende dalla Logica alle forme, riguarda gli accessi, i modi, gli stili, le capacità di rifrazione più che la coerenza di un discorso. Ma la forza organizzativa, retorica, ideologica o perfino autoritaria di tale metadiscorsività dei gangli aumenta, non diminuisce: è come se mettessimo una cattedrale gotica di fronte a una lirica di Anselmo Leoni. Questo è uno dei nodi che ci pone di fronte la rivoluzione informatica.
Perciò
pensiamo che nella visuale di una ipermodernità, in cui decisivi
sono i sistemi della memoria delle forme, ovvero i generi, la loro
capacità di istituire differenze, il loro attuale mutamento
strutturale, il loro cambio di scala e la loro capacità
ricostruttiva, possa costituirsi un'ipotesi di lavoro più riflessiva
e meno categorica di altre che pure colgono tutta l'importanza di una
fase non epigonica e non stancamente nichilistica dell'umanità.
In
questo numero una parte cospicua, nella sezione delle Presentazioni e
delle Segnalazioni, è dedicata ai rapporti tra musica e letteratura
e alla canzone d'autore. Non pretendiamo di scoprire nuove vie, di là
dal valore dei singoli contributi: in realtà le vie sono soprattutto
molteplici e forte è il bisogno di trovare strumenti critici per
un'indagine inter-mediale.
Qui sono rappresentate solo alcune
prospettive, musicologiche, culturologiche, letterarie, ma
soprattutto prospettive concrete, legate a realizzazioni, come
nei casi, diversissimi, di Caprioli e Sanguineti. Limitandosi al tema
dei cantautori, proprio da questioni appena accennate, come
l'influenza di certa canzone sulla lingua e sulla letteratura, e non
solo della letteratura sulla canzone, o come il contrasto che qualche
volta si produce tra un carattere costitutivo della canzone -
l'estrema riproducibilità e orecchiabilità - e l'innovazione
linguistica, comportamentale e stilistica, vengono in luce certi
problemi: l'importanza della canzone d'autore come fenomeno culturale
e non più di 'costume', l'incongruità di considerare la cultura per
settori, abitudine avallata spesso dalle impaginazioni dei giornali o
dalle collane editoriali, la necessità, come forse per composizioni
di altri secoli quali le ballate, i madrigali, le villanelle, di
andare a cercare nella produzione di queste forme il valore reattivo,
a volte deviante, a volte ottundente, che esse hanno nell'intero
sistema dei generi letterari.
Un'altra
piccola parte di questo numero è dedicata alla multimedialità e
agli ipertesti, con saggi di Graziella Tonfoni, Giovanni Baffetti e
Giorgio Melloni. Seguono altri interventi e progetti di lavoro, un
testo poetico di Andrea Cotti, e infine la sezione delle Notizie,
dedicata ai convegni, alle mostre, alle riviste e ad altre
iniziative. È presente per tutto il numero una serie di notizie
sull'attività di Associazioni come l'Associazione degli Italianisti,
l'Associazione per gli studi di teoria e storia comparata della
letteratura, l'American Association of Italian Studies,
l'Associazione Amici di Leonardo Sciascia, l'Associazione Sigismondo
Malatesta e, infine, l'Associazione culturale nata intorno
all'attività di «Bollettino '900». Chiude il numero la seconda
parte dell'aggiornamento bibliografico sulle pubblicazioni dei
ricercatori e docenti del Dipartimento di Italianistica di Bologna,
che sarà presto disponibile anche sul Web del Bollettino.
Federico
Pellizzi n° quattro-cinque, maggio 1996