L'Europa virtuale quella dei flussi finanziari, dei mercati, delle grandi opere, della cultura - quella, in fondo, funziona bene, come è stato delineato ai vertici. L'errore e stato quello di averle voluto dare, con il referendum sulla Costituzione europea, l'avallo delle popolazioni reali, invece di mantenerla in una sfera astratta, facendola ratificare dai parlamenti, questi servizi fantasma.
JEAN BAUDRILLARD 2006
l popoli vanno avanti, bene o male, a patto che non si chieda il loro parere. L'errore pertanto è stato quello di voler fare appello a una "realtà democratica". Si è trattato, in effetti, di un duplice errore: prima di tutto il fatto di non aver capito che questa certa "realta democratica" non esiste più. La "realtà" in generale non esiste da così tanto tempo che è stata sostituita da controfigure.
Gli uomini politici – essi stessi soppiantati dalla loro immagine, e che ormai godono soltanto di un potere virtuale – dovrebbero essere nella condizione giusta per saperlo. Questo genere di sostituzione, però, oggi ha luogo ovunque: tutte le opinioni sono sostituite da sondaggi, gli avvenimenti sono sostituiti dall'informazione, I'Europa stessa è stata prefigurata dal suo modello (Bruxelles).
In simili condizioni, per legittimare un'operazione ai vertici non è più questione di fare appello alla "realta della base" - se non per un maquillage di circostanza, tramite il suffragio universale. Proprio questa e l'operazione che è fallita.
Questo perchè - ecco il secondo errore - i popoli non sanno quello che vogliono (e inutile e pericoloso pertanto chiederglielo. Tanto vale parlare a nome loro: è questa la "democrazia"). Per contro, ciò che essi non vogliono assolutamente è che dall'alto gli si rifili qualunque cosa, anche se e per "il loro bene".
Che cosa si può mai pretendere infatti da un popolo reso quanto mai virtuale dai sondaggi, ingabbiato dalle statistiche, braccato dai mezzi di comunicazione?
Che cosa ci si può attendere se non che esso scuota il giogo, questa novella sudditanza, opponendo a questa presa d'ostaggi virtuale un "no" tanto indecifrabile quanto imponderabile?
Non soltanto il forcing per il "sì" ha funzionato esattamente al contrario: oltretutto le forze inerziali - che di solito giocano a favore dell'ordine, della rassegnazione, del conformismo - hanno anch' esse eluso ogni previsione. Questo è il segno di una frattura molto più profonda di quella di un semplice risentimento sociale o economico. Dietro a questo "no" si cela un altro simbolo, una sorta di reazione istintiva a una forma di dominio esclusivo, intellighenzia e nomenklatura insieme.
A una forma di arroganza "democratica" per lo meno uguale a quella dell'aristocrazia dell' Ancien Regime, e che conferisce d'altronde gli stessi segni di anacronismo e di ridicolo della casta feudale dei" ci-devant" (appellativo dato agli aristocratici durante la Rivoluzione francese,ndt) , e che lascia presagire le medesime convulsioni, partite, come alIa vigilia della Rivoluzione, dal medesimo disconoscimento radicale di un ordine nel - quale nessuno piu si riconosce, che non lascia posto a nient' altro se non alIa perpetuazione di un panorama politico in pieno disfacimento.
Si e voluto parlare di "frattura sociale", ma è di altro che si tratta. Tutti (persino i sostenitori del "no") sono ben contenti di indirizzare questo "no" a una recriminazione sociale ed economica (qualora non la si squalifichi considerandola puro e semplice nazional-populismo): il "popolo" vorrebbe la sua fetta di torta. O meglio, vorrebbe trasparenza...
Balle! Il popolo da tempo si e rassegnato alIa "corruzione" delle sue "elite", al loro distacco nel più assoluto disconoscimento delle sue tacite esigenze. Il popolo, d'altronde, non sa ciò cbe vuole, ma sa bene per quanto in modo alquanto confuso che l'obiettivo primario è quello di tenerlo a distanza, iscrivendolo nell'ambito del "sociale". In quanto alle elite, esse non vivono nel sociale: vivono in una complicità ereditaria - essendo la feudalità in politica geneticamente trasmissibile.
Dove si è andati a pescare che le esigenze profonde erano quella del sociale e dell'economia, e che qualsiasi reazione inopinata non poteva che arrivare da lì? E secondo questo stesso pensiero riduttivo che nel "terrorismo internazionale" si è voluto vedere l'espressione della miseria e dell' emarginazione dei paesi sottosviluppati. La vera arroganza è questa attribuzione della rivolta a miserabili motivazioni "oggettive", sociali, economiche, tutte quelle che si può riuscire ad ascrivere a una strategia convenzionale di diversione e di manipolazione.
L' azione di forza del capitale è l' aver assoggettato ogni cosa all'ordine dell'economia. Oggi, siamo passati da un ordine all'altro,e il sociale è superato. La dislocazione di tutti i problemi all'economia fa sì che teoricamente essi siano tutti risolvibili. In teoria tutto ci è dato, o ci sarà dato, in virtù di una crescita e di un' accelerazione continue.
In questa peripezia, a traballare è tutto l'apparato mentale e materiale della modernità. Perchè tutto, fino ad allora, si era dipanato sulla tensione esistente tra i bisogni e la loro soddisfazione, tra il desiderio e la sua realizzazione, essendo sempre i mezzi di gran lunga inferiori alle aspirazioni. Si tratta di una situazione critica che ha generato tutti i conflitti storici che noi conosciamo – rivendicazioni, rivolte, rivoluzioni.
Oggi la realizzazione immediata di qualcosa supera di moltissimo la facolta di un essere umano normale di rallegrarsene. Orbene, nulla esclude che l'uomo, una volta uscito da una millenaria. indigenza, diventi portatore di un desiderio insaziabile. Nulla esclude che una volta affrancato da una servitù millenaria, egli diventi disponibile a una liberazione totale. Niente è meno sicuro.
Ed ecco dove si rinviene ormai l'autentica frattura, non quella sociale, bensl quella simbolica: nella sazietà, nella saturazione, nella realtà integrale che assorbe qualsiasi velleità di superamento, di sogno o di rivolta porta a una situazione originale e senza dubbio inedita: il passaggio da una dimensione politica a una dimensione simbolica ben piu radicale.
Ciò a cui noi soccombiamo non è più l'oppressione, l'espropriazione,l'alienazione:è la profusione. E il potere di coloro che decidono in maniera sovrana del nostro bene, che ci sovraccaricano di tutti i benefici – "sicurezza, prosperità, socialità" - e che facendo ciò ci opprimono con un debito infinito, che non potrà mai essere estinto.
Ci è difficile concepire un livello simbolico nel quale I'essere umano si ritragga e si rivolti per ciò che e lui dato in eccesso. Se a caratterizzare le società cbe ci banno preceduto erano la penuria e la sudditanza, oggi sono l'opulenza e il liberalismo a caratterizzare la nostra societa, entrata in fase terminale e destinata a terapie intensive.
Nuova sfida, nuova partita:a questo punto la rivolta cambia drasticamente di significato.
Essa non prende più di mira ciò che è proibito, bensì il permissivismo, la protezione, la trasparenza eccessiva, l'Impero del Bene. Ormai occorre battersi contro tutto ciò che è fatto per il nostro bene.
Da qualche parte il "no" al referendum, quel "no" irrazionale e incomprensibile, serve alla medesima esigenza: quella di non essere presi in ostaggio da un modello, quale esso sia (soprattutto se è un modello ideale), perchè esso nasconde sempre un sistema totalitario del tutto micidiale, un integralismo senza appello. Il caso del "no" al referendum è l'improvvisa apparizione di una negazione, di un rifiuto cbe non costituisce esattamente un'opposizione, ma che sarebbe maggiormente simile piuttosto a una divergenza profonda, una denegazione, tenace e silenziosa, di tutto l'ordine mondiale, quella stessa che fece dire a Bartleby, lo scrivano di Herman Melville: "I would prefer not to" . Preferirei di no. Io non ci sto.
Testo raccolto da Aude Lancelin e Marie Lemontier
@Copyright Le Nouuel Observateur Traduzione di Anna Bissanti